“Consegnata agli uffici la pdl per l’abrogazione della legge che ha introdotto l’obbligo di esposizione della Bandiera dell’Unione Europea fuori e dentro gli edifici pubblici”.
Lo annuncia in un tweet il senatore della Lega Claudio Borghi, candidato alle Europee, aggiungendo che “la Bandiera Italiana è una sola: il Tricolore, affiancato quando possibile dalla Bandiera della Regione”.
Una flebile eco di quello che fu l’ antieuropeismo, morto e sepolto da tempo come il termine “sovranismo”, ma vediamo perché.
Pillole di diritto pubblico intanto a chi parla di Ue ed euro come destini irreversibili: se la Costituzione apre a parziali e condizionate cessioni di sovranità all’art. 11, non per questo aderire a Trattati che limitano la sovranità nazionale diventa qualcosa di “irreversibile” in quanto lo Stato, come istituzione moderna e pertanto di per sè superiorem non recognoscens, prevede la sovranità come elemento necessario e “originario” per la sua stessa esistenza. Quindi la volontà politica statuale può sempre, appena ne ravvisi l’opportunità, scegliere e decidere di revocare quelle limitazioni di per sé reversibili e restaurare lo Stato con ciò che era già suo “per natura”. Anche perché QUESTA Europa è davvero, quanto meno da riformare: https://www.radiospada.org/2020/05/pietro-ferrari-ne-restera-uno-solo/
Il problema dunque, al di là della costituzionalità intrinseca dell’attuale assetto unionista, (contestato da molti ma comunque sempre approvato dalla Suprema Corte) è sempre stato di ordine eminentemente politico: restare o meno nell’Unione Europea. Fuori dalla Ue c’è il mondo intero ed occorre una seria quanto complessa programmazione di gestione di una Italexit per fasi, magari prevedendo un referendum consultivo degli italiani nella massima trasparenza delle opzioni. Ma è questa la scelta di quello che fu il cosiddetto sovranismo italiano? Già il termine sovranismo è sempre stato equivoco in quanto, un’autentica opzione politica di tal fatta avrebbe dovuto escludere ogni forma di neo-liberismo ma così non è stato, stando ai programmi di quei partiti che vi si richiamaVAno.
Già altrove ho cercato di evidenziare come questo bivio dell’indecisione sul tema della Italexit, alla lunga sarebbe risultato logorante e controproducente (can che abbaia non morde https://www.radiospada.org/2020/05/pietro-ferrari-italexit-o-no-e-ora-di-scegliere/) dato che poi, la dialettica inconciliabile tra i cosiddetti Pigs e i Paesi nordici, va sempre a rafforzare la sintesi franco-tedesca, come asse necessario di equilibrio nel condominio eurista, gettandoci nella periferia riottosa.
La vera dialettica oggi è (o dovrebbe essere) quella tra chi vuole restaurare la sovranità dello Stato (come luogo della rappresentanza politica) e chi vuole che essa invece rimanga ancora nelle mani delle istituzioni private bancarie, delle Ong e delle burocrazie apolidi. Un vero sovranismo politico non può essere niente altro che una riedizione del nazionalismo sociale ed economico: più Stato meno mercato, libertà economica nei limiti degli interessi strategici dello Stato, più diritti sociali e meno mondialismo, più Keynes e meno Chicago Boys. Questo ci lascia intendere come la prospettiva di una Europa Sovrana, come spazio Politico dei popoli europei, potrebbe ancora sussistere se il primato – appunto politico – venisse traslato dalla nazione alla Patria più grande, laddove un’Italia fuori dalla UE ma con una moneta debito in mano privata, resterebbe paradossalmente ancora nel paradigma anti-sovranista e succubo (se non più di Bruxelles e Berlino) di Washington, Tel Aviv o Mosca.
In fin dei conti però, la sovranità (nazionale o continentale) non è altro che uno strumento ed ecco che allora, necessariamente, torna l’importanza del fine: quale Italia (o quale Europa) diversa da quella che c’è, lo strumento sovranista avrebbe voluto (o vorrebbe) edificare?
Esiste un Progetto Europeo alternativo delle forze antieuriste e sovraniste? Esiste un Progetto Italiano che sarebbe inaugurato dalla Italexit? A ben vedere uno Stato sconfitto dalla guerra nel 1945, con decine di basi militari americane, col diritto comunitario da sempre vincolante, che ha visto sul suo territorio scatenarsi la strategia della tensione e l’epoca oscura delle stragi senza mandanti, uno Stato che da solo, prima dei diktat di Bruxelles, aveva già regalato con una semplice lettera del ministro l’autonomìa alla Banca d’Italia nel 1981 (con aumento esponenziale del Debito Pubblico) rafforzata nel 1992 e che poi svendette il suo patrimonio pubblico, privatizzando anche tutto il settore bancario (cosa che i tedeschi e i francesi non hanno fatto), non so quanto fosse effettivamente sovrano prima di entrare nel sistema europeo di banche centrali. Abbiamo visto quanto è stato duro per gli inglesi (mai entrati nell’euro, antieuropei da secoli e con una vocazione geo-economica diretta verso l’ex area del Commonwealth) uscire dall’Unione Europea. Se Italexit deve essere, varrebbe la pena scatenare un’epopea senza avere un progetto nazionale chiaro? Pertanto Italexit non sarà, anche perché né Lega né Fdi la vogliono.
Forse dovremmo ripartire per gradi. Si vocifera da anni che dopo Tangentopoli saremmo entrati nella Seconda Repubblica e poi, con la fine del bipolarismo causato dal M5S, nella Terza. Possono essere trovate giornalistiche o analisi politologiche condizionate dal sistema elettorale, ma la realtà è che siamo ancora fermi alla Prima.
Una qualsiasi rifondazione nazionale deve passare necessariamente attraverso una riforma della Costituzione per dare finalmente vita, ma per davvero, ad una Nuova Repubblica… e dato che sognare non costa nulla, la ormai necessaria rifondazione europea dovrà passare anche attraverso una fase di perfezionamento della sua architettura giuridico-economica, militare e finanziaria.
Pietro Ferrari