A Montecarlo si vivevano momenti frenetici più del solito in quei giorni di maggio del 1971. Il 29esimo Gran Premio di Formula Uno s’apprestava a invadere le strade del principato e a tenere incollati davanti alle tivvù, ancora in bianco e nero, tutti gli appassionati del mondo libero. Il rombo dei motori era la colonna sonora delle strade monegasche. Tra i vicoli, l’odore dei carburanti si mescolava con quello dello stocafi, il piatto tipico a base di stoccafisso e pomodoro dal profumo ricco di aromi. Ovunque l’atmosfera era frizzante, elettrica, come accade sempre in occasione dei grandi eventi.
La corale era lì da qualche giorno e ai miei occhi di sedicenne lo scenario appariva fantastico, il set di un grande film vissuto dall’interno.
LA VISITA ALLA REGGIA
Salimmo a palazzo reale con indosso il tipico costume abruzzese. Il “dress code” abituale per le nostre serate in giro per l’Italia e nelle non infrequenti puntate all’estero. Dopotutto, eravamo pur sempre ambasciatori d’Abruzzo nel mondo. La drammatica disavventura libica, raccontata in un altro post su questo sito, si era conclusa pochi mesi prima, con qualche patema, ma senza troppi danni. Quella volta, tuttavia, indossammo il costume tradizionale per un motivo speciale.
La folla ai piedi del grande edificio era numerosa e ordinata. Ci accolse con simpatia e curiosità, la stessa curiosità che l’aveva spinta sul colle. Il desiderio palpabile era l’incontro con Grace Kelly, la principessa americana calata in una fiaba del secondo millennio. Un’ icona di bellezza dagli occhi del colore del cielo e musa indiscussa di Hitchcock, il grande regista che la volle in tre dei suoi cult più importanti. Uno di questi, il thriller Caccia al ladro, anni dopo si intreccerà tragicamente con la sua vita.
VOLA LU CARDILLE, UN OMAGGIO TUTTO ABRUZZESE
Il maestro Ennio Vetuschi colse l’attimo giusto, e ci dette il “la”. Le note di “Vola vola vola lu cardille”, l’inno simbolo della nostra terra, riempirono all’improvviso la piazza d’Armi. Le intonammo con lo sguardo rivolto all’insù, verso quelle grandi finestre che correvano lungo tutta la facciata. E fu allora che Grace Kelly uscì da una di queste. Si mostrò come mai ti saresti aspettato da una grande diva, abituati alle immagini patinate rilanciate dai rotocalchi. Aveva indosso un maglioncino marrone a collo alto. I capelli biondi raccolti sul capo, tenuti da un comune fermaglio. Una semplicità che mi colpì. Appena sfumate le ultime note ci salutò con un gesto della mano e scomparve dietro l’ampia vetrata. Poco dopo alcuni di noi furono invitati a Palazzo. La principessa volle ringraziare il Coro per l’omaggio ricevuto.
IL MITO ETERNO DELLA PRINCIPESSA AMERICANA
Ma, non tutte le favole hanno un lieto fine. Il 14 settembre 1982 a 52 anni, Grace Kelly troverà la morte. Il destino beffardo la coglierà nello stesso punto dove, nel 1955, aveva girato una scena del film Caccia al ladro. Una sequenza nella quale lei, alla guida di una cabriolet con al fianco Cary Grant, si tuffava pericolosamente lungo una strada tortuosa in una corsa frenetica verso la baia di Montecarlo. Anni dopo, in una di quelle curve, stavolta in compagnia della figlia Stephanie, la sua auto senza controllo precipiterà nella scarpata. La principessa morirà poco dopo l’arrivo in ospedale. Non si è mai chiarito chi fosse realmente alla guida.
IL MITO DELL’IMMORTALITA’
Grace Kelly è un mito e lo sarà per sempre. La sua bellezza e la sua grazia sono rimaste immutate, non corrose dal tempo che passa. E’ il crudele paradosso dello star system. Morire giovani è il prezzo da pagare per divenire immortali. Così è stato per un’altra principessa, Diana Spencer, per James Dean, per la Monroe e tanti altri. Così sarà anche per lei.
(Nelle foto: la corale in viaggio per Montecarlo; momenti del Gran Premio; Grace Kelly)
Enrico Squartini