HomeLa Finestra Sul CortileElezioni politiche 2022 e la sfida futura

Elezioni politiche 2022 e la sfida futura

I giovani preoccupati del loro presente scelgono in prevalenza e soprattutto al Sud il M5S, depuratosi in extremis dal trasformismo dimaiano e condotto da uno dei politici più apprezzati degli ultimi anni: Giuseppe Conte. Chi scrive è stato un sostenitore di quell’alchimia giallo-verde che univa i due populismi italiani, per la prima volta al governo assieme correggendosi a vicenda. Un’esperienza funambolica che avrebbe meritato miglior fortuna, ma torniamo a noi. Sono tramontati i tempi del pacioso Mortadella e il PD se non più ancorato a quella tarda nostalgia ulivista delle sante unioni da Pericle a Stalin per “battere le destre” senza poi governare (vedasi “governo” Prodi 2066 – 2008), non è però riuscito a scegliere: entrare nella scia demagogica pentastellata o nella seriosa ma più credibile scia calendiana. Il populismo a sinistra o l’elitismo al centro. Da una parte ha pesato l’ossequio all’introvabile agenda-draghi e dall’altra la furibonda antipatia di Letta verso quel guitto toscano che gli diceva di star sereno. Letta avrebbe perso ugualmente ma oggi il suo partito avrebbe avuto già una strada da perseguire, mentre si trova con la bussola in mano. Fatto sta che il PD in eterna transizione si appresta a scegliere l’ennesimo segretario cui addossare colpe non sue. Le colpe del rimandare sine die le scelte delle alleanze, che attendono ad una irrisolta questione identitaria interna. Scelta che forse sarebbe troppo lacerante. Se Forza Italia ha retto e si appresta ad incidere nelle scelte di governo, il Terzo Polo si è dimostrato una Forza Italia senza alleati, una opzione di moderatismo solitaria ed in attesa di diventare qualcosa di diverso in Parlamento, non necessariamente ostile a priori alla maggioranza. La Lega sempre più spaccata al suo interno è la parte sconfitta tra i vincitori, avendo pagato duramente la follia del Papeete quando Salvini pensò di poter vincere da solo col suo sondaggiato 40 % e l’ambiguità successiva sull’appoggio a Draghi. Veniamo adesso a chi ha vinto.

Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera snocciola dati interessanti che danno FdI come il partito più votato dagli operai (34,6%), più votato da chi ha redditi medi e bassi, ma anche dal ceto più ricco (23,4%): 

«Fino a poche settimane fa questo primato era del Pd — osserva Pagnoncelli —, poi c’è stato l’effetto novità di Meloni a fare da traino. Si tratta dell’effetto più rilevante degli ultimi anni, da Renzi a Salvini passando per Di Maio, che ha innescato grandi exploit e crolli abbastanza rapidi. Meloni, in questa rilevazione, è avanti in tutti i segmenti sociali», anche in quello degli imprenditori e manager. Sul fronte socioculturale sorprende poi un’altra novità: FdI è la forza più votata da impiegati e insegnanti, da sempre roccaforte dem (quota scesa al 21%).

Possiamo evidenziare con una analisi serena ed oggettiva una serie di considerazioni sul perché questa di Fratelli d’Italia sia una vittoria storica. Vi sono tre ordini di motivi che rappresentano assolute e dirompenti novità, in quanto tali – ovviamente – entusiasmanti per qualcuno e indigeste per altri: 

1)    FdI è la prima forza politica italiana, di gran lunga più grande dei due alleati Lega e FI, una forza di destra che va a connotare pertanto, per la prima volta dal 1946 una maggioranza parlamentare non di centro-destra, ma proprio di destra, con qualche spruzzatina centrista (FI, Lupi, etc.) considerato che la stessa Lega (non da ultimo evidenziato da Marine Le Pen https://www.adnkronos.com/elezioni-2022-le-pen-si-congratula-con-meloni-e-salvini_pb2jhpwoTZnPcYyyLn2ez ) proprio di centro non è, anzi, è semmai un’altra destra se consideriamo l’appartenenza di Lega e FdI ai diversi gruppi parlamentari europei di riferimento. Pertanto l’Italia nel suo Palazzo che democraticamente rappresenta il popolo, mai come oggi ha avuto una così netta connotazione di destra

2)    Fratelli d’Italia non è un qualunque partito di destra, ma l’erede politico di una lunga storia, quella del MSI nato nel 1946 all’insegna del “Non rinnegare, non restaurare”, che negli Anni ’50 seppe anche trovare convergenze e desistenze coi governi democristiani ma che dopo il Congresso di Genova del 1960, divenne per volontà del PCI il “polo escluso” dal cosiddetto Arco Costituzionale. Un partito che nel 1972 raccolse il 12% dei consensi, diventato Alleanza Nazionale, con l’esplicita mozione per cui l’antifascismo fu motore del ritorno della democrazia in Italia dopo il Regime Fascista. AN nel 1996 raccolse il 15% dei voti e poi (dopo la parentesi della fusione a freddo del PdL tra il 2008 e il 2011) si riorganizzò in Fratelli d’Italia, partito che alle elezioni del 2013 non arrivò al 2% dei consensi. Dal 1994 vi sono state diverse occasioni di governo a tutti i livelli per i post-missini, ma dal 25 settembre del 2022, è la prima volta che un leader di questa tradizione politica sia naturalmente in pole position per ricevere l’incarico di Capo del Governo.

3)    Mai era accaduto in Italia che addirittura una donna fosse il leader naturale del partito di maggioranza e di questo partito, proprio da lei fondato dopo aver guadagnato sul campo la leadership vincendo personalmente congressi ed elezioni. Parliamo di una quarantenne, una ragazza di un quartiere popolare romano, cresciuta senza il padre e che a 15 anni inizia la militanza nel Fronte della Gioventù, anni luce distante dal potere, dalle lobby, dai festini della Roma bene, dalle facili carriere e dalle prostituzioni esistenziali di altri ambienti che forniscono scorciatoie. Non è un dato ovvio e scontato ma una novità eccezionale che una ragazza di quell’area politica sia riuscita a renderla maggioritaria attraverso il consenso elettorale su di lei, nonostante le campagne di terrore scatenate negli ultimi anni. Il mondo femminista che non si capacita del perché le donne al governo non siano di sinistra, dalla Thatcher passando per la Merkel dovranno probabilmente metabolizzare anche Giorgia Meloni.

Due sfide altrettanto storiche attendono il prossimo parlamento, una che sarà soprattutto sulle spalle della maggioranza ed un’altra che riguarda davvero tutti: 

Per sugellare questa vittoria storica alla destra non basterà neanche fare l’impossibile, ossìa traghettare l’Italia dalle sue mille crisi ataviche e nuove, tra i flutti delle continue emergenze verso i sereni lidi di una stabilità sociale all’insegna della crescita economica. Sarebbe un miracolo ma non basterebbe. 

Servirà ancora di più ossia diventare Destra Costituente che realizza l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Capo del Governo con le necessarie e coerenti modifiche della Costituzione in ordine ai poteri degli Organi costituzionali e ai nuovi contrappesi istituzionali. Allo sciocco che teme come tutto ciò sarebbe orribile basterebbe ricordare che a sinistra Kennedy, Clinton, Obama furono direttamente eletti dai cittadini e che oggi, politici come Giuseppe Conte, Carlo Calenda o Bonaccini, avrebbero le phisique du role come candidati a presidenti in uno scenario mutato. Del resto non si capisce per quale motivo il principio che ispira le due leggi che da anni regolano ottimamente l’elezione di sindaci e governatori di regione, non possa applicarsi alle elezioni politiche dove sarebbe ancora più necessario. Non si capisce altresì perché la Costituzione sia da considerarsi intoccabile quando è già stata ritoccata 47 volte Costituzione “intoccabile”, ma è già cambiata 47 volte. Sinistra in trincea – Il Tempo dato che essa prevede proprio di poter essere cambiata all’art. 138!

Tra l’altro dal sito della Fondazione Einaudi Presidenzialismo a destra e sinistra – Fondazione Luigi Einaudi viene ricordato come: Il presidenzialismo fu di sinistra. All’Assemblea costituente lo chiedeva il Partito d’Azione, con Piero Calamandrei. Fra gli argomenti che usarono c’era la necessità di rendere forte e stabile il governo. Lo chiesero da antifascisti, ricordando che ad aprire la strada alla dittatura aveva concorso la debolezza del governo Facta. Fu poi un antifascista e capo partigiano, Randolfo Pacciardi, a sostenere la necessità di riformare la Costituzione, introducendo il presidenzialismo. Gli diedero del fascista. Nel frattempo era successo che al semipresidenzialismo era approdata la Francia, sotto la guida di Charles De Gaulle, avversato dalla sinistra. Sicché il presidenzialismo era vissuto come di destra. Dovettero passare degli anni perché François Mitterrand incarnasse il presidenzialismo in salsa socialista.

L’altra sfida è quella di ridare dignità alla politica. Il progetto riformista, comunque, dovrà riprendere quota non solo e non tanto perché lo vuole la destra dato che necessita all’Italia, ma perché è tutta la classe politica italiana che ha bisogno di rigenerarsi in un lavacro di credibilità ed autorevolezza. Sulle scelte energetiche, strategiche, geopolitiche, infrastrutturali e industriali semplicemente non possiamo più permetterci di giocare a chi è più bambino dell’altro. Lo stesso Paolo Mieli ha recentemente sottolineato come i “governi tecnici” sono una deriva italiana, un unicum mondiale non imitato da nessuno evidentemente per l’immaturità di una classe politica parolaia che da decenni si paralizza vicendevolmente con anatemi e demonizzazioni miopi, talvolta anche controproducenti. Amato nel ’92, Dini nel ’95, Monti nel 2011 e Draghi nel 2021 ci hanno abituato a non credere alla democrazia rappresentativa e al valore della sovranità politica. Un tale vulnus si esplica anche indirettamente dal crescente astensionismo di milioni di italiani che giudicano a priori inutile il loro voto. 

Ecco perché il banco di prova più importante che è quello che dovrà disegnare una nuova architettura per l’Italia del domani, riguarda tutti, maggioranza ed opposizione e riguarda non soltanto loro, ma soprattutto e profondamente noi. 

Pietro Ferrari

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