Sono trascorsi oltre otto mesi dalla scomparsa di Giorgio Lanciotti, 35 anni, originario di Roseto degli Abruzzi e residente a Pineto, senza che sia emerso il minimo indizio. Da quel sabato 21 settembre 2024, quando si è incamminato in solitaria verso la vetta orientale del Corno Grande, del giovane non si sa più nulla.
Nessun oggetto, nessun avvistamento, nessun segnale utile. Solo silenzio.
Le operazioni di ricerca, avviate subito dopo la denuncia, si erano mobilitate con uomini, cani, droni e squadre di soccorso alpino. Ma con l’arrivo dell’autunno e delle prime nevicate, tutto si è fermato. La speranza si è spostata alla primavera. Ma neanche allora è cambiato nulla. Ora, con l’estate alle porte e la montagna di nuovo affollata, torna con forza la domanda che nessuno riesce più a ignorare:
che fine ha fatto Giorgio Lanciotti?
Il Corno Grande non è un luogo ignoto. La via orientale, pur meno battuta, è frequentata e conosciuta. E Lanciotti era ben equipaggiato per un’escursione in giornata. Eppure, è svanito nel nulla, come inghiottito dalla montagna.
Un mistero che si fa più inquietante proprio per l’assoluta mancanza di indizi.
La famiglia, stremata ma determinata, continua a chiedere verità e attenzione. “Vogliamo solo sapere cosa è successo a nostro figlio”, ha dichiarato il padre con una compostezza che amplifica il dolore. Roseto e Pineto si sono stretti attorno a loro, con veglie, appelli e iniziative di solidarietà. Ma non basta. Il silenzio delle istituzioni e dei media sta lentamente spegnendo i riflettori su questa storia.
Eppure, non è solo una questione di montagna. Il caso di Giorgio Lanciotti è diventato una ferita aperta, una storia sospesa, che merita di essere raccontata ancora.
Perché dietro ogni scomparsa c’è una famiglia che aspetta. E una verità che chiede di venire alla luce.


