Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi” scrisse:
“Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’ aver dei fatti da raccontare”.
Questo è lo spirito che muove queste righe, che molti lettori ci chiedono e che vorremmo accontentare con un approfondimento su cui riflettere perché il Papato non deve essere conteso da tifoserie o da impulsi emotivi. Fede e Ragione, unite assieme alle fonti ed alle testimonianze più attendibili e verificate, compongono una composita e multiforme analisi.
Con l’indispensabile corresponsione alla Grazia, possiamo, almeno, sperare di avvicinarci il più possibile, alla realtà data dai fatti, non dalle congetture o dalle personali simpatie e volontà.
Innegabile, perché già scritto ore prima della fumata bianca, la regia dell’arcivescovo di New York Timothy Dolan, che, nei giorni del pre-conclave, ha visto un notevole via vai di porporati entrare ed uscire dal suo appartamento, che si affaccia sul Cupolone di San Pietro, al fine di far convergere la scelta su Robert Prevost. Probabilmente un iniziale indirizzo è cominciato lì, dal momento che il card. Gianbattista Re ed altri eminenti porporati hanno dichiarato che sarebbe stato un conclave molto breve.
Addirittura, il card. Re, la mattina del 8 maggio, ha risposto un bel “presumo entro sera”, alla domanda di un giornalista di Sky sulla tempistica che si sarebbe potuta immaginare. Prima ancora, altri porporati si erano esposti con la stampa, parlando di elezione “entro il quinto scrutinio”. Ed è stato al quarto.Più interessante è un altro fatto che viene riferito dal New York Times online di oggi, riguardo ad un virgolettato del fratello John Prevost,
che vive nella periferia di Chicago:
“Sabato scorso, mentre ero in chiesa, uno dei preti è venuto da me e mi ha detto che le probabilità a Las Vegas erano 18 a 1″. Non aveva dubbi. Pensava che sarebbe stato sicuramente mio fratello”.
In un’ampia intervista rilasciata giovedì pomeriggio nella sua casa di New Lenox, una graziosa cittadina di 27.000 abitanti, a circa 40 miglia a sud-ovest del centro di Chicago, John Prevost già rifletteva sull’ascesa al papato del fratello, sui valori del nuovo papa e sulle sue radici americane.
“Rob – come è solito chiamarlo il fratello – ha un grande, immenso desiderio di aiutare gli oppressi e gli emarginati, le persone ignorate”, ha detto al NYT, come appartiene alla sua particolare vocazione missionaria, esercitata specialmente in Perù. I fratelli Prevost sono tre, l’altro vive in Florida. John ha continuato l’intervista immaginando il nuovo papa come “una via di mezzo” e ha affermato: “Non credo che vedremo estremi in nessun modo”.
“Non credo che resterà in silenzio a lungo, se avrà qualcosa da dire”, ha detto Prevost. “So che non è contento di quello che sta succedendo con l’immigrazione. Lo so per certo. Quanto lontano andrà è solo una supposizione, ma non se ne starà con le mani in mano. Non credo che resterà in silenzio” – riporta Mitch Smith, corrispondente nazionale del Times.
Il card. Dolan, che negli Stati Uniti conoscono come un conservatore, piuttosto vicino al Presidente Donald Trump, è stato molto abile ad unificare i cardinali provenienti dal Nordamerica e Sudamerica. Come scrive Il Giornale: “di più quelli di lingua inglese, o meglio legati al commonwealth, insomma il vecchio impero britannico, dal Sudafrica all’India e alle Isole Tonga”.
Così, stavolta, con una convergenza America-Africa-Asia, è stato eletto il cardinale del Primo mondo, particolarmente apprezzato a Roma per equilibrio e diplomazia. Parla correttamente 7 lingue, conosce molto bene le diocesi e le ambasciate di tutto il mondo grazie al ruolo ricoperto in Curia dal 2023.
Lasciamo le speculazioni politiche a coloro che vogliono già tirare Prevost per la tonaca, ma se a questo profilo si aggiunge l’accento del suo primo discorso, incentrato sulla pace, fin dal saluto, possiamo capire che in questo momento storico, un suo apporto in chiave inevitabilmente geopolitica, potrebbe rivelarsi importante, se non decisivo, per la leadership “super partes” data dall’abito bianco, dalla mozzetta, dalla stola, che contribuiscono a dare, anche esteriormente, quell’autorevolezza spirituale, che il mondo, cattolico e non, tributa al Papato romano.”Il card. Francis George aveva osservato che, “finché l’America non sarà in declino politico, non vedremo un papa americano”. Dopo l’ascesa cinese ci siamo davvero arrivati. Per questo, forse, il cardinale Prevost, è stato eletto. Percepito politicamente come un centrista, Prevost su diverse tematiche sociali ha mostrato aperture progressiste” – scrive l’autorevole sito italiano Difesa online.
Ha scelto il nome di Leone XIV, azzeccato dalle previsioni del Prof. Matteo Orlando, direttore di Informazione Cattolica.it che nel suo libro, appena uscito su Amazon scrive: “…Il Conclave elegge Leone XIV. Papa di transizione o salvezza per la Chiesa?”. Interrogativo più che giusto, cui noi aggiungiamo: “sarà stato folgorato sulla Via della Cappella Sistina, come Saulo su quella di Damasco o andrà in continuità coi suoi predecessori, figli del Concilio Vaticano II”?
La speranza cattolica nell’Onnipotenza di Dio non deve mai venir meno, ma il sano realismo “agostiniano-tomista” la accompagna. Prevost è stato eletto da un’assemblea di “pastori modernisti”, perché tutti ufficialmente aderenti alle conclusioni dell’Assise del 1962-1965, pur con le consuete diverse sensibilità ed ermeneutiche, nonché dagli Ordini e nomine ricevuti dopo le riforme del 1968. Presiede abitualmente la cerimonia codificata da Montini ed entrata in vigore negli anni ’70. Ha fatto una brillante carriera nella “deep Church”, anche grazie al suo “amico fraterno” (come l’ha definito il fratello John al NYT) Bergoglio.
Ha scelto un nome molto impegnativo, riferendosi a Leone XIII, Papa delle encicliche sociali, che furono di solenne e perpetua condanna del pensiero moderno e della massoneria, in quanto Magistero infallibile del Sommo Pontefice. Il Papa condanna il «socialismo, il comunismo, il liberalismo, il nichilismo» come un unico movimento, che si oppone ai principi morali, agli istituti naturali, ai legittimi diritti di proprietà e di autorità.
“Il Concilio, disse apertamente Joseph Ratzinger, è stato un «Contro-Sillabo», operando questa riconciliazione tra la Chiesa e il liberalismo, in particolar modo con Gaudium et spes, il più lungo documento conciliare” – scrisse Mons. Marcel Lefebvre nel suo testo “Lo hanno detronizzato” (ed. Amicizia Cristiana, 2009). La fratellanza umana senza Cristo Re tra i singoli ma anche nella società e nelle leggi, è più di un errore. E’ un peccato contro i diritti di Dio sulle creature ed il creato. «Chi non è con Me è contro di Me e chi non raccoglie con Me disperde» (Lc 11,23).
Dunque, ci dovremo aspettare una
«Contro-Rerum Novarum» nel solco di quel Concilio, che il card. Suenens dichiarò essere “il 1789 nella Chiesa” (ovvero i principi della Rivoluzione francese portati nella Chiesa Cattolica) oppure il rinnovamento, attualizzato, di quelle condanne della falsa libertà, della falsa uguaglianza e della falsa fratellanza, perché satanicamente separate dalla Rivelazione divina e dall’unica Chiesa di Cristo, che Papa Leone XIII ha mirabilmente fulminato nella “Quod Apostolici Muneris” del 1878, nella “Humanum Genus” del 20 aprile 1884, nella “Inimica vis” del 8 dicembre 1892? Il Dottore della Chiesa Sant’Alfonso Maria de’ Liguori ebbe a scrivere, già nel 1767, nella sua opera più importante, “Verità della Fede”: “del resto, se Dio permettesse che un papa fosse notoriamente eretico e contumace, egli cesserebbe d’essere papa, e vacherebbe il pontificato. Ma se fosse eretico occulto, e non proponesse alla Chiesa alcun falso dogma, allora nessun danno alla Chiesa recherebbe”. Potremmo trovarci anche in una di queste due situazioni? Rispondiamo tornando al Manzoni: “…Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’ aver dei fatti da raccontare”.
Matteo Castagna