Un’altra vita si è fermata troppo presto, sotto il peso di lamiere che non dovevano cadere. Aveva solo 30 anni Yassine Guerouahi, operaio di origine marocchina, impegnato in un cantiere edile a Valle Castellana. Era lì per lavorare, come ogni giorno, scaricando materiale pesante da un autocarro. Ma qualcosa è andato storto. Un bancale carico di lamiere si è rovesciato, travolgendolo in pochi istanti e cancellando ogni possibilità di soccorso.
È successo martedì, alle 17.30. Yassine è morto sul colpo, senza il tempo di gridare, senza che nessuno potesse davvero salvarlo. I suoi colleghi hanno lanciato l’allarme. L’elisoccorso da L’Aquila, i vigili del fuoco, l’ambulanza da Ascoli, i carabinieri e gli ispettori della Asl: tutti sono arrivati troppo tardi. La sua morte è ora materia d’indagine, per capire se quella tragedia si sarebbe potuta evitare, se la sicurezza fosse stata solo un punto su un foglio, o qualcosa di più.
E così, un altro nome si aggiunge al lungo elenco di chi muore sul lavoro. In silenzio, lontano dai riflettori, nella quotidianità che non fa notizia. È un dolore che resta incastrato tra le montagne, nei racconti dei colleghi, nelle lacrime che non si vedono. Un dolore che pesa più di qualsiasi bancale. Yassine non era un numero. Era un uomo, un lavoratore, una vita che avrebbe dovuto continuare.
Che questa ennesima tragedia non venga archiviata come una fatalità. Che diventi memoria, responsabilità, impegno. Perché il lavoro non può più essere sinonimo di morte.