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Racconti teramani. Macchia Da Sole e il tesoro di Re Manfredi, tra leggenda e realtà e sullo sfondo un sinistro guardiano

Le rovine di Castel Manfrino, a un tiro di schioppo da Macchia da Sole, un paesino stretto tra i monti gemelli a 900 metri di quota, guardano tutta la valle, fino all’Adriatico. E da quella valle, attraverso le gole del Salinello che a cavallo del tredicesimo secolo i soldati di Manfredi di Sicilia, ultimo monarca della dinastia Sveva dal quale il fortilizio ha ereditato il nome nel suo diminutivo volgare, si inerpicavano per raggiungere l’avamposto, a circa mille metri sul livello del mare. 
Eretto ai confini del regno a guardia dei tratturi che si intersecavano tra le asperità dei due monti, il castello fu oggetto di contese e più volte cambiò “inquilini”, passando dagli Svevo agli Angiò, fino agli ascolani, di battaglia in battaglia, di assedio in assedio.
E’ in questa cornice che nasce la leggenda del tesoro di Manfredi che si narra sia nascosto in quei posti aspri e selvaggi. 

La tradizione orale, supportata anche da Dante Alighieri nel primo canto del Purgatorio e dal Boccaccio nel De Fluminibus, vuole che anche i resti di re Manfredi siano stati dispersi in quelle zone per volere di Papa Clemente. Scrive l’autorevole storico Nicola Palma:
“Il Fiume Verde (il Salinello) che divide l’Aprutium dal Piceno, e sfocia nel Tronto, e’ degno di essere ricordato perche’ sulla sua riva picena, per ordine di Papa Clemente furono gettate senza alcun funebre ufficio le ossa di Manfredi re di Sicilia, che erano state disseppellite lungo il Calore, fiume di Benevento dal Vescovo di Cosenza, essendo egli morto scomunicato”.

Fino agli anni ’50 nei luoghi attorno al castello vi sono stati, pare, alcuni ritrovamenti. Si parla di armi, spade in particolare, dalle impugnature ornate da pietre preziose. Ragazzini le avrebbero trovate e brandite per gioco e successivamente andate perdute, finite forse nelle mani di adulti più consapevoli in odor di lauti profitti. Ma, non solo armi. 

IL RINVENIMENTO DELLE MONETE D’ARGENTO
E’ recente il rinvenimento di alcune centinaia di monete d’argento risalenti al tredicesimo secolo, proprio lungo quel sentiero che porta da Ripe di Civitella a Macchia da Sole, costeggiando il Rio Salinello. In virtù di questa scoperta, la leggenda ha ripreso vigore e gli anziani del villaggio sono tornati a parlarne. Sono riemersi ricordi e riportate alla luce antiche memorie rimbalzate tra generazioni fino ai giorni nostri. 

Qualcuno lassù ne è sicuro. Il tesoro esiste. Oro, monete e forse preziosi monili sono sepolti in qualche grotta o dirupo in quel di Piano Maggiore, a pochi passi da Macchia da Sole. Il luogo, un tempo borgo abitato, situato in una posizione dominante la valle, ospita tuttora una chiesa restaurata di recente e intitolata a San Pietro e San Martino. 

IL TEMIBILE GUARDIANO
Il tesoro è lì, dice la leggenda, ma nella leggenda entra un guardiano perfido e terribile che ne rivendica il possesso. Nientemeno, si racconta, che il diavolo in persona. Tuoni e fulmini quando qualcuno vi s’avvicina. Il cielo si fa buio e la tormenta si scatena con tutta la sua forza. Folletti e spiritelli si aggirano tra gli alberi,”li paúre” nella vulgata del posto. Apparizioni che spaventano i viandanti e scoraggiano i curiosi.

Enrico Squartini

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