Il neonato Governo Meloni ha modificato la denominazione del Ministero dell’Istruzione, aggiungendo le parole “e del Merito”. Il Neo Ministro del Dicastero è il Professor Giuseppe Valditara, Docente ordinario di Diritto romano, persona dalle indubbie qualità culturali e politiche.
Ciò che intendo contestare in questa sede è l’idea stessa del “merito”, nonché ovviamente l’ideologia che è sottesa ad un sostantivo abusato da decenni.
Sovente l’idea di merito rimanda al superamento di schemi ideologici, anche se non può sottrarsi a rappresentare essa stessa un’ideologia, costituita da una ben definita visione del mondo che mira ad un orizzonte di cambiamento in chiave di uguaglianza, da attuarsi garantendo la mobilità sociale ai meritevoli, prescindendo dalle condizioni di partenza di ciascun individuo, e contestualmente penalizzando i non meritevoli.
Da questo punto di vista il fascino del concetto è indubitabile, perché qualsiasi impalcatura sana della società aspira ad un ascensore sociale funzionante ed efficiente, ed è noto a tutti che il nostro Paese sia carente da decenni di una compiuta valorizzazione del merito; carenza che svilisce competenze, ambizioni, professionalità, talenti e rappresenta un oggettivo fattore di declino della Nazione.
Purtroppo, prima di invocare l’avvento della cosiddetta “meritocrazia”, concetto intoccabile e inattaccabile che risiede stabilmente tanto nel Pantheon delle forze politiche di centrodestra quanto in quelle di centrosinistra, occorre una operazione di verità etimologica.
La meritocrazia sembrerebbe unanimemente dover rappresentare la panacea di tutti i mali dell’Italia.
Non vorrei deludere i fedeli del merito, ma ho lo sgradevole compito di segnalare che la meritocrazia c’è già e, anzi, nel Bel Paese c’è sempre stata.
Infatti, la parola merito ha la medesima radice etimologica della parola “meretrice” (prostituta, puttana) e ha il significato di mercede, ricompensa, premio da attribuire in relazione alle capacità del soggetto.
La logica del merito è alla base degli scambi mercantili e si contrappone frontalmente alla logica del dono, la quale al contrario non implica alcun calcolo utilitaristico sul contraccambio.
A fronte del disinteresse del donatore deve esserci, nell’animo del beneficiario, il sentimento della riconoscenza, poiché sarebbe grave per il beneficato mostrarsi ingrato.
In buona sostanza il dono genera gratitudine, in primo luogo come accettazione del legame con il donante.
Il dono deve quindi essere valutato in quanto espressione di una relazione, tanto che autorevoli studiosi lo hanno concettualizzato come “valore di legame” in contrapposizione a quello di “valore di scambio”.
Pertanto, la categoria del merito è una categoria farisaica che – per fare un esempio comune ai cristiani – Gesù non tollera all’interno della sua comunità, perché Gesù insegna la categoria del dono.
Orbene, qualora una prostituta – per meriti che non occorre sindacare – venisse ricompensata con l’attribuzione di una carica pubblica, lo scaturente sentimento di scandalo non risiederebbe nel fatto che debba sussistere una ricompensa per le prestazioni della meretrice, bensì nel fatto che tale ricompensa non dovrebbe consistere nella svalutazione delle Istituzioni, degradate al livello di mercede.
Questo perché le Istituzioni repubblicane rappresentano un livello di sacralità e sono le custodi dell’onore e della dignità di un popolo, in quanto tali non suscettibili di mercimonio.
Eppure la logica mercantile pervade integralmente il tessuto della società capitalistica, conducendo fatalmente ad inquadrare ogni rapporto umano, sociale, professionale, formativo e finanche scolastico nelle categorie del merito, finendo per corrodere dall’interno anche i sentimenti, i valori e le Istituzioni, che dovrebbero attenere esclusivamente alle categorie del dono.
Ne discende che la meritocrazia sia un valore quanto mai salutare nell’impresa, in azienda, nel mondo lavorativo e professionale, ma si rivela assolutamente deleteria laddove – nell’amicizia, come in politica, al pari che nell’Istruzione (che dovrebbe puntare a formare le coscienze dei cittadini e le competenze culturali e sociali degli individui) – ben altri dovrebbero essere i fini.
In tal senso non sfugge a nessuno che l’Istruzione pubblica sia quel sistema di educazione che viene gestito, finanziato e organizzato a livello statale e locale dalla Pubblica Amministrazione, nell’alveo delle cosiddette politiche dello Stato sociale.
Il pilastro di tale sistema educativo è rappresentato dall’istruzione obbligatoria che persegue l’obiettivo della scolarizzazione di massa quale strumento di contrasto all’analfabetismo e al lavoro minorile.
Il Ministero dell’Istruzione è storicamente preposto alla funzione dell’educazione delle fasce di popolazione in età minorile, occupandosi in particolare di verificare il rispetto del diritto-dovere all’istruzione dei cittadini, nonché dell’adempimento dell’obbligo scolare di tutti, anche nei casi dove l’insegnamento venga impartito presso scuole private, pareggiate o paritarie, oppure presso scuole confessionali.
Il mondo dell’Istruzione attiene ai nostri figli ed è l’Istituzione sociale più rilevante dopo la famiglia, dove si imparano le nozioni e i comportamenti, dove si cresce di testa ma anche di cuore, dove si socializza e si sperimentano relazioni e legami sia verticali (con chi è deputato ad insegnare) e sia orizzontali (con i compagni di banco e di classe).
In tale mondo dovrebbe essere dominante e soverchiante il “valore di legame” e non il “valore di scambio”, la logica del dono e non la logica del merito.
Infatti, ben distinto dal Dicastero dell’Istruzione è il Ministero dell’Università e della Ricerca, il quale è preposto all’amministrazione delle Università nonché alla Ricerca scientifica e tecnologica.
Ma l’Università è un mondo di studi specialistici e professionalizzanti che attiene alle persone maggiorenni, le quali vogliano – giammai obbligatoriamente – dedicarsi ad accrescere le proprie competenze solo dopo aver assolto l’obbligo scolastico ed aver conseguito l’eventuale diploma di maturità (collegato alle scuole secondarie di secondo livello).
Il mondo universitario, essendo per sua natura facoltativo, bene si sposa con la logica del merito che favorisce la giusta competizione interpersonale e l’emergere dei talenti e delle qualità.
Ma è un mondo distinto, distante e conseguente al mondo dell’Istruzione, laddove il rapporto tra cittadinanza e uguaglianza sociale consolidano le radici e fecondano i valori sui quali si fonda una Nazione.
L’Università, in quanto porta di accesso al mondo del lavoro, alle relazioni adulte e professionali, necessita della categoria del merito, anche se l’esperienza di ciascuno suggerisce come la cosiddetta meritocrazia subisca quotidianamente un’eterogenesi dei fini per cui, a titolo esemplificativo, capita che divenga professore universitario colui che possa vantare altri meriti rispetto a quelli accademici.
Resta fermo che simili esempi rappresentino in ogni caso anomalie di sistema che sommate conducono inesorabilmente alla disgregazione del patrimonio scientifico-culturale di una Nazione.
E ciò accade nelle fasi di declino di una civiltà, quando i livelli corruttivi salgono alle stelle, raccomandazioni, relazioni e servilismi la fanno da padrone, il denaro assurge al ruolo di generatore di tutti i valori, l’utilitarismo viene trasfigurato emarginando i valori del bello, buono, giusto e sacro.
Per tutti questi motivi, se in qualsiasi società del XXI secolo è inevitabile che alberghi la logica del merito, è altrettanto necessario che essa venga confinata nei luoghi e nelle categorie dove può e deve portare frutto, non già nel mondo dell’Istruzione, fucina dei nuovi italiani dove arde il fuoco sacro del dono, del valore di legame, dell’importanza di trasmettere l’apprendimento a tutti, di inculcare le capacità di conoscere e di crescere, di sapersi relazionare, di saper amare, di saper far dono di se stessi agli altri, di saper riconoscere e coltivare i sentimenti.
Ecco perché, da donna, da madre, da educatrice dei miei figli, da insegnante dei figli altrui, aborro il merito e la logica pervasiva che ne è alla radice.
Senza meritocrazia e senza valore di scambio possono esistere e sono esistiti tanti Popoli e tante Nazioni nella storia dell’umanità, ma senza la logica del dono e il valore di legame nessun Popolo e nessuna comunità ha mai prosperato sulla Terra.
Ipàzia
