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Giovanni Legnini, ovvero il passacarte

Tutti sanno che la sinistra abruzzese da qualche anno ha due padri: Luciano D’Alfonso e Giovanni Legnini. 

Ma mentre il primo siede felice sul suo nuovo scranno da deputato a Roma, l’altro si accinge a restare senza lavoro proprio sotto le festività natalizie. 

È noto infatti che l’incarico da Commissario governativo per la Ricostruzione del Centro Italia (Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio) sia in scadenza al 31 dicembre 2022. 

Legnini ha reso un pessimo servizio alla Nazione quando fu Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, come ha dimostrato la cronaca giornalistica, politica e giudiziaria in riferimento al recente scandalo nazionale sulla gestione delle toghe, ma resta comunque il punto di riferimento politico del Sindaco di Teramo. 

Sarebbe uno smacco se Legnini venisse sollevato dalla responsabilità commissariale sulla ricostruzione post-terremoto, lasciando solo Gianguido D’Alberto alle prese con una campagna elettorale in salita sia perché la sua parte politica è sempre stata minoritaria a Teramo, sia perché la sinistra ha preso schiaffi elettorali dovunque: al Parlamento, in Regione Abruzzo, alla ASL di Teramo, in Provincia di Teramo, al Ruzzo, al BIM, all’IZS, all’ATER, ecc. 

Non è un caso che Legnini stia cercando disperatamente di farsi rinominare tramite mielose lettere pubbliche dei suoi amici, i quali stanno invocando la benevolenza di Giorgia Meloni per il loro faro politico. 

La questione assume rilevanza sulla campagna elettorale teramana: se Legnini dovesse essere riconfermato alla guida della ricostruzione dal Presidente del Consiglio dei Ministri per il 2023, sarebbe un segnale del favore con il quale Fratelli d’Italia guarda al PD e al Sindaco di Teramo, anche se l’ipotesi sembra razionalmente improbabile. 

Qualora, al contrario, Legnini venisse sollevato dall’incarico (per il quale si ventilano i nomi del senatore di Fratelli d’Italia Guido Castelli, ex sindaco di Ascoli Piceno, e del sindaco in carica di L’Aquila Pierluigi Biondi, anch’egli di Fratelli d’Italia), il primo cittadino di Teramo resterebbe senza guida politica, in balia sia degli avversari di centrodestra, sia degli avversari interni alla sinistra (a partire da Luciano D’Alfonso che non fa mistero di non stimare D’Alberto). 

La notte di San Silvestro porterà quindi interessanti novità per gli sviluppi politici locali. 

Nel merito della questione ricostruzione, un grave difetto di provincialismo induce i politicanti ad autocelebrarsi ogni qualvolta vengano assegnati dei finanziamenti al territorio. 

I sinistrati intonano canti per celebrare i miliardi che sparge sul cratere il commissario Legnini, quasi come se fossero soldi suoi che il commissario tira fuori dal proprio portafogli o dal salvadanaio personale, e non invece soldi di tutti gli italiani che generosamente vengono assegnati dal Governo a territori colpiti da calamità naturali. 

Sull’altro fronte, la gara ad accaparrarsi i meriti per i soldi stanziati dal Governo per il fondo complementare al PNRR (dedicato al cratere sismico) vede in prima fila esponenti regionali del centrodestra, altrettanto provinciali di quelli di sinistra. 

I primi sventolano la bandiera di Legnini come salvatore della Patria, i secondi sventolano quella della Meloni e di Marsilio come eroi dei due mondi. 

In particolare svetta l’esternazione di un politicante teramano, lautamente retribuito per non far nulla fra i banchi del Consiglio regionale (soggetto talmente insignificante che citarne il nome e il cognome sarebbe un ingiusto regalo di visibilità per il vuoto cosmico che rappresenta), il quale stigmatizza il tentativo del centrodestra di sminuire la statura maiuscola del suo amico Legnini: “descrivere il ruolo del Commissario come quello di un passacarte fa sorridere tutti gli abruzzesi”. 

Eppure Pulcinella scherzando si confessò: è infatti esattamente questo ciò che ha fatto Legnini (del PD) come Commissario alla ricostruzione, e prima di lui Farabollini (nominato dal M5S), e prima ancora Paola De Micheli (del PD) e Vasco Errani (sempre del PD). 

Hanno passato tutti le carte. 

Hanno annunciato al popolo quello che il Governo nazionale elargiva di volta in volta. 

Sono bracci operativi del Governo e in quanto tali si sono limitati a svolgere il loro compitino politico, senza poter incidere né poco né punto sulla messa a terra dei soldi regalati dal Governo. 

Infatti, per limitarci al Comune di Teramo, sappiamo tutti che quando nel 2018 l’attuale Sindaco si insediò già c’erano nelle casse comunali quasi cento milioni di euro di finanziamenti per ricostruire e riqualificare numerosi immobili pubblici e numerose scuole. 

Durante questi quattro anni e mezzo di mandato comunale, il Governo nazionale ha elargito a Teramo altre decine di milioni, ma nessuna gru si è alzata e nessun edificio è stato recuperato e restituito alla pubblica fruizione. 

Con il che si dimostra che la filiera politica della sinistra, che parte dal Commissario Legnini (fortunatamente in scadenza) e scende fino al Sindaco di Teramo Gianguido D’Alberto, è una filiera sterile come un fuco: molti miliardi di euro sono stati pagati da sessanta milioni di Italiani per consentire che il Centro Italia si rialzasse dai colpi inferti dal terremoto, ma purtroppo dopo sei anni dai sismi del secondo semestre 2016-gennaio 2017, nel nostro Comune nulla è stato ancora ricostruito e molti teramani hanno abbandonato per sempre la loro residenza e la loro storia. 

E non siamo nemmeno alla vigilia di inaugurazioni di scuole riqualificate, del Municipio, del Conservatorio, eccetera, perché per nessuno di tali edifici è stato approvato neppure il progetto esecutivo (e figurarsi se è possibile ipotizzare una gara d’appalto e poi un’apertura di qualche cantiere). 

Ne consegue che sì, Legnini ha fatto il passacarte, e il suo scudiero politico ha fatto una siesta durata cinque anni, nei quali la crisi demografica, industriale, commerciale, culturale e sociale ha tagliato le gambe a Teramo e ai suoi poveri abitanti. 

Ipàzia

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