HomeCittàConvegno alla Biblioteca Delfico. Giovanni Gentile tra pensiero filosofico e progetto culturale

Convegno alla Biblioteca Delfico. Giovanni Gentile tra pensiero filosofico e progetto culturale

Biblioteca Delfico,  9 aprile ore 17

RELATORI:

Prof Elso Simone Serpentini, Prof.ssa Maria Cristina Marroni, Avv. Pietro Ferrari

Marcello Veneziani, 18 Marzo 2024:

< A pochi giorni dall’ottantesimo anniversario della sua morte, la casa editrice Le Lettere della famiglia Gentile ripubblica con una mia nuova prefazione l’antologia che curai degli scritti di Giovanni Gentile, Pensare l’Italia (pp.248, 18 euro). Raccoglie le pagine più significative della sua filosofia civile: l’amor patrio, la tradizione italiana e i suoi autori, l’umanesimo del lavoro.
Gentile sconta un triplice oblio e una maledizione: l’oblio del pensiero, della filosofia idealista e della nazione. E la maledizione di essere considerato “il filosofo del regime fascista”. L’oblio del pensiero e della filosofia idealista si accompagnano all’oblio della nazione, della sua identità e sovranità. Gentile fu invece filosofo, idealista militante, e filosofo della nazione, profondamente legato al pensiero italiano. Viva e vigorosa è la sua eredità nella scuola e nell’educazione umanistica, nell’impresa culturale – dall’Enciclopedia Treccani all’Ismeo, Istituto di studi dedicati all’Oriente – solo per citare un paio di sue grandi impronte – nella concezione comunitaria e nella sua ricerca di un pensiero vivente, profondamente italiano e per questo profondamente universale.
Ma il 15 aprile è l’anniversario del suo assassinio. Chi ordinò l’uccisione di Gentile? Al di là dei mandanti e degli esecutori reali, il vero ispiratore fu l’Intellettuale Collettivo, che è la definizione di Gramsci del Partito Comunista; ma è anche il gruppo di professori e intellettuali organici al Pci, vicini a Secchia, a Longo, Li Causi e Togliatti, rientrato un mese prima dell’uccisione di Gentile dall’Urss. Fu proprio il leader del Pci a rivendicare l’esecuzione, definendo Gentile canaglia e camorrista, immondo e corruttore, bandito e bestione. Più male fecero i giudizi, le condanne e il plauso all’assassinio provenienti dagli intellettuali. Da Concetto Marchesi ad Antonio Banfi, che fino a pochi mesi prima seguitava a chiedere e ottenere favori da Gentile, da Eugenio Curiel a Bianchi Bandinelli, amico di Gentile e accompagnatore deferente di Hitler in visita a Firenze nel ’38. E il ruolo di Mario Manlio Rossi, Giorgio Spini, Carlo Ludovico Ragghianti e di Eugenio Garin, prima devoto a Gentile e poi compiacente verso il Pci; di Cesare Luporini, reticente sul delitto Gentile, e di tanti intellettuali. Quasi tutti debitori verso Gentile o verso il suo pensiero, come del resto Gramsci. Denigrarono Gentile come filosofo e come uomo. Ai suoi funerali, scrisse il giovane Spadolini, non c’erano accademici (solo tre) né intellettuali, ma c’era una vasta e commossa partecipazione di popolo.
Perché fu eliminato? Non fu punito per il passato, semmai fu un modo per eliminare attraverso lui il loro passato, per occultare le loro compromissioni col regime. Chi lo uccise volle troncare l’appello gentiliano dal Campidoglio alla pacificazione tra fascisti e antifascisti, che da Mosca Togliatti aveva attaccato duramente. Lo uccisero non per l’adesione alla Rsi ma per l’appello alla concordia nazionale. Cinque giorni prima era stato ucciso il suo segretario nell’Accademia, Fanelli, da cui si cercavano documenti riguardanti Gentile. Il 18 aprile del ‘44 Gentile avrebbe dovuto incontrare Mussolini a Salò. Nell’ultima lettera inviata a Mussolini, il filosofo concludeva fiducioso: “E noi ci ritroveremo a Roma. Ci aspetta Roma, Roma Roma!” Una lettera strana, anche nel tono, se confrontata con le precedenti. Gentile non fu ucciso per il suo passato ma per sgombrare il futuro di una figura così ingombrante e imbarazzante per molti ex gentiliani. Il 15 aprile si compì un parricidio rituale e si indicò un codice ideologico di comportamento per il futuro: o gli intellettuali si redimevano passando al Pci, come i Banfi, i Garin, i Bianchi Bandinelli, i Bilenchi, in parte gli Spirito e i Malaparte; oppure sarebbero stati emarginati e rimossi, come accadde ai Volpe, i Pellizzi, i Soffici, i Papini o Evola, ma anche ai Prezzolini, i Del Noce e altri che fascisti non furono mai. L’uccisione di Gentile, la denigrazione postuma, la rimozione di ogni sua memoria, fu il peccato originale su cui si fondò il sistema ideologico-mafioso italiano, fu il parametro per misurare gli ammessi e gli esclusi, in accademia e non solo; fu il preambolo alle omertà successive e alle perduranti miserie partigiane della cultura italiana. 
La sua ultima opera-testamento, Genesi e struttura della società, è un “saggio di filosofia pratica”, dice lo stesso Gentile. E’ una pietra miliare ma sommersa della filosofia sociale. Qui è il passo famoso: “All’umanesimo della cultura che fu pure una tappa gloriosa della liberazione dell’uomo, succede oggi o succederà domani l’umanesimo del lavoro”. Il lavoro non è in Gentile solo produzione e fatica ma attività etica e riscatto spirituale: “l’uomo reale, che conta, è l’uomo che lavora, e secondo il suo lavoro vale quello che vale. Perché è vero che il valore è il lavoro”. Nella definizione dello Stato, Gentile richiamava la continuità col pensiero liberale e conservatore; nell’umanesimo del lavoro, invece, richiama l’eredità del socialismo e del sindacalismo. Dalla sintesi gentiliana sorge lo Stato nazionale del lavoro. 
L’umanesimo del lavoro fu il convitato di pietra della Costituzione italiana del ’48. La repubblica fondata sul lavoro già nel primo articolo della Carta ne è traccia palese, e gli eredi dell’umanesimo del lavoro sono le forze socialiste e comuniste, cattolico-popolari e sindacali.  

Il materialismo è per il filosofo “il crollo di ogni moralità”. E invece l’uomo svolge un’attività universale che è “la ragione comune agli uomini e agli dei, ai vivi, agli stessi morti e perfino ai nascituri”. Ecco la comunità, intesa non solo tra i viventi ma tra chi ci ha preceduto e a chi ci seguirà; la filosofia ne è la sua coscienza. È il pensiero comunitario di Gentile: “In fondo all’Io c’è un Noi; che è la comunità a cui egli appartiene, e che è la base della sua spirituale esistenza, e parla per sua bocca, sente col suo cuore, pensa col suo cervello”. Organicismo comunitario. Gentile richiama il ruolo centrale e insostituibile della famiglia. L’uomo è famiglia, scrive in un bellissimo passo: “Lì è la radice del senso dell’immortalità, onde ogni uomo s’infutura e spezza la catena dell’attimo fuggente”. Per Gentile la famiglia è il “perenne vivaio morale dell’umanità”.

Colpisce il tono sereno, fiducioso, costruttivo dell’ultimo Gentile, nonostante il clima dell’epoca e la tragedia in atto; un pensiero ostinatamente positivo, proteso al bene e alla concordia, in piena tempesta bellica, in mezzo all’odio. Cercatore di vita davanti alla morte, che presto sarebbe andata a prelevarlo… La Verità – 17 marzo 2024 >

Il “major figure in Italian idealist philosophy” come l’Enciclopedia Britannica descrive l’Accademico italiano fondatore e direttore dell’Enciclopedia Italiana. Qualche mese prima di essere assassinato Giovanni Gentile aveva scritto una lettera a Ermanno Amicucci direttore del Corriere della Sera affermando tra l’altro “chiedo che si evitino le lotte non necessarie, né utili, anzi certamente dannose, in cui certi elementi fascisti insistono troppo col solo effetto di smorzare e rallentare la fiducia del Paese nel Partito. Ci sono arbitrii e persecuzioni e molestie che si potrebbero evitare senza nulla compromettere. E troppo si sta a ricordare tante sciocchezze commesse da molti che ne sono già amaramente pentiti e sono pronti ormai a marciare se si lasciano vivere. E perciò io credo opportuno un appello alla smobilitazione degli animi, alla concordia possibile, per carità di Patria, per la salvezza di tutti”.

(Franco Seccia/com.unica 15 aprile 2022)

Valerio Benedetti: < Un nucleo di “gappisti” assassinò a Firenze Giovanni Gentile, il più grande filosofo italiano vivente. Gentile, oltre a essere filosofo di fama internazionale, era anche e soprattutto il “filosofo del fascismo”, come è stato spesso definito. Per questo motivo, ucciderlo equivaleva per i suoi boia a seppellire con lui anche la cultura fascista, tanto che girò la leggenda secondo cui Bruno Fanciullacci, colui che probabilmente tirò il grilletto, avrebbe esclamato: «Non uccido l’uomo ma le sue idee». E inoltre, a decenni di distanza, nel 2001, un solerte “gendarme della memoria” ha potuto scrivere in tutta serietà: «L’uccisione di Gentile fu un atto dovuto, più di quello di Mussolini. Uccidendo Gentile si uccideva l’anti-Italia». Fabio Vander, autore delle righe citate, intende con “anti-Italia” proprio il fascismo, ricollegandosi così a una tradizione che in realtà è ormai bell’e morta (e morta bene): è quella di Benedetto Croce, amico e poi acerrimo nemico di Gentile, secondo cui il movimento delle camicie nere avrebbe rappresentato solo una breve “parentesi” nel cammino che avrebbe condotto l’Italia alle «magnifiche sorti e progressive» del liberalismo assurto a meta escatologica dell’umanità.

Ad ogni modo, rivendicare l’assassinio di Gentile, se è squallido in sé, rappresenta tuttavia un bel passo in avanti. Sì, perché per decenni si è tentato di addossare la colpa del vile omicidio ai fascisti stessi: è la teoria della “faida interna”, che accompagnerà di lì in poi ogni “inchiesta” giornalistica sui morti neofascisti… Le modalità dell’omicidio sono agghiaccianti: Gentile, senza scorta per non aver voluto gravare sulle spese di una nazione in guerra, si era appena seduto in macchina, allorché vide avvicinarsi due giovani con i libri sotto il braccio. Riconoscendoli quindi come studenti, abbassò il finestrino – come si addice a un professore – per poter discorrere con loro, ma subito venne crivellato dalle pallottole della pistola di Fanciullacci. Ricoverato in condizioni disperate, spirerà alla presenza dei figli Gaetano e Benedetto.

Ora, per giustificare la viltà di un tale gesto, peraltro stigmatizzato da numerosi antifascisti, l’intellighenzia del dopoguerra ha dovuto far ricorso alla “prova morale”: uccidere Gentile voleva dire uccidere il fascismo e la sua cultura, e cioè l’«anti-Italia». Eppure il filosofo italiano, benché defunto, continua a “parlare”: nonostante decenni di damnatio memoriae, si moltiplicano gli studi su Gentile, oramai rivalutato come “filosofo europeo” (Natoli 1989) e “maggior filosofo del Novecento italiano” (Fusaro 2013) – tutte tesi, oltre a quelle di Severino, Marramao ecc., che finiscono per dar ragione ad Augusto Del Noce, il quale scrisse: «Il pensiero di Gentile rappresenta una svolta di capitale importanza nella storia della filosofia, in un senso la più importante del nostro secolo». Gentile filosofo italiano ed europeo, quindi: un filosofo con cui non è possibile non fare i conti, se si vuol ripensare tutta la filosofia italiana e parte di quella europea…

Gentile tuttavia, oltre ad esser sommo filosofo, fu anche e volle essere fascista, pagando con la vita la sua scelta di campo. Di più: nel momento di massimo pericolo per l’integrità dei confini della nazione, Benedetto Croce fu chiamato per pronunciare in Campidoglio un discorso di pacificazione per tutti gli italiani, ora tutti responsabili della difesa della patria, al di là delle ideologie. Croce, che evidentemente era “patriota” solo su carta stampata, si rifiutò. Gentile invece, nonostante la sua egemonia culturale si fosse da qualche anno eclissata, rispose alla chiamata. Fu il cosiddetto Discorso agli Italiani (24 giugno 1943), in cui il filosofo siciliano esortò tutti i compatrioti a rinunciare agli odi di fazione e a prepararsi alla difesa della nazione. Questo discorso, com’è noto, fu la sua condanna a morte. 

A Fanciullacci, assassino di filosofi, è dedicata una via a Firenze: onore che a Gentile non fu e non è concesso. Eppure il filosofo siciliano è sepolto nella Basilica di Santa Croce: nonostante l’odio antifascista, Gentile riposa con i più grandi italiani di sempre, con Michelangelo, Machiavelli, Galileo e Foscolo. È quello il posto che gli spetta. 

“Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: MORTE!” Parole scritte da Concetto Marchesi e Girolamo Li Causi e fatte proprie da Palmiro Togliatti che il 1 giugno del 1944 su Rinascita, con una nota titolata “Sentenza di morte”, così commentò il barbaro assassinio del filosofo Giovanni Gentile avvenuto a Firenze davanti al cancello dell’abitazione dell’Accademico d’Italia“. Questo articolo di Concetto Marchesi … venne scritto in risposta a un miserando e vergognoso appello di Giovanni Gentile alla “concordia”, cioè al tradimento della patria, apparso nel Corriere della Sera fascista.

 Giovanni Gentile fu l’ultimo grande filosofo a pensare l’Italia e nel pensiero trovò l’anima, il destino e la missione del Paese. Il suo fu l’ultimo poderoso tentativo di immaginare l’Italia attraverso una teologia civile, nel solco di Vico, una riforma religiosa applicata alla politica e una religione civile legata allo spiritualismo politico e al pensiero nazionale. I precursori dell’Unità d’Italia li chiama infatti profeti, a partire da Dante; il Risorgimento lo vede come la Resurrezione dell’Italia, inteso mazzinianamente come missione fondata sulla religione della patria e percorsa dal giobertiano primato morale e civile, ma anche filosofico e culturale, italiano. 

Nelle pagine scelte da Marcello Veneziani si ricompone la filosofia civile di Gentile, che fu sintesi della tradizione teorica, storica e letteraria nazionale, il suo idealismo dopo Marx, il suo Stato Etico, il ruolo della scuola e la missione educativa, il rapporto con la Tradizione, la Religione e il Risorgimento, con Dante e Leopardi, con la guerra e il fascismo, l’umanesimo del lavoro e lo spiritualismo comunitario. Dall’antologia gentiliana emerge un pensiero eroico e fiducioso, fino alla morte.

RELATED ARTICLES

1 COMMENT

  1. “Giovanni Gentile nasce a Castelvetrano, provincia di Trapani, il 29 maggio 1875, ottavo di dieci fratelli. A disagio nella realtà siciliana, che considerava gretta e chiusa, lascia l’isola dopo aver vinto il concorso per la Scuola normale superiore di Pisa, dove si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia: qui conosce alcuna personalità destinate a influire enormemente sul suo pensiero, come Alessandro D’Ancona e Donato Jaja.
    Dopo la laurea nel 1897, con massimo dei voti e un corso di perfezionamento a Firenze, Gentile ottiene una cattedra in filosofia presso il convitto nazionale Mario Pagano di Campobasso. Nel 1900 si sposta al liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Nel 1901 sposa Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso.
    Nel frattempo escono i suoi primi, importanti lavori: la tesi su Rosmini e Gioberti (1898), discussa con Jaja, e La filosofia di Marx (1899), che sarà apprezzato anche da Lenin. Durante gli studi a Pisa incontra Benedetto Croce con cui intratterrà un carteggio continuo dal 1896 al 1923: i due rivoluzioneranno la filosofia italiana, conducendo una lunga battaglia contro il positivismo filosofico.
    Insegna a Palermo, poi a Pisa e alla Sapienza di Roma. Sarà anche direttore della Scuola Normale superiore di Pisa (1932-1943) e vicepresidente dell’Università Bocconi di Milano (1934-1944). Interventista allo scoppio della Grande guerra, Gentile si scopre ben presto intellettuale militante.
    All’ascesa del Fascismo, viene scelto da Mussolini come ministro della Pubblica istruzione (resterà in carica fino al 1924, facendo in tempo a varare la sua famosa riforma della scuola). L’adesione al Fascismo causerà la rottura con Croce. Curerà l’Enciclopedia Treccani e una miriade di enti e fondazioni culturali che per decenni rivestiranno un ruolo nella società italiana. Dopo un periodo di oblio, il 24 giugno 1943 riappare sulla scena con un discorso sul Campidoglio, in cui auspicava l’unione di tutte le forze per la salvezza della nazione.
    Aderisce alla RSI, tenendo sempre una linea di «concordia nazionale». Viene ucciso a Firenze da un gruppo gappista, il 15 aprile del 1944.
    Il pensiero di Gentile risolve tutta la realtà nell’atto del pensiero e rifiuta come «naturalismo» o come «dialettica del pensato» ogni possibile presupposto al pensare dell’Io. Dalla concezione attualistica Gentile ricavò anche le sue vedute pedagogiche, che prevedevano l’unità di educando ed educatore.
    Anche le sue idee politiche discendono dalla sua filosofia, con la comunità pensata in interiore homine, tanto che per Gentile diventa inconcepibile ogni scissione tra individuo e Stato. Ecco perché egli potrà qualificare come «liberalismo» la sua adesione al Fascismo, il massimo della libertà coincidendo con il massimo dello Stato. La sua opera di riformatore della scuola e di organizzatore della cultura nazionale ha fatto la fortuna dell’Italia per decenni, prima di essere lentamente disarticolata, con le conseguenze perfettamente visibili.
    Bibliografia essenziale: La filosofia di Marx, Teoria generale dello spirito come atto puro, Discorsi di religione, Genesi e struttura della società.”
    Adriano Scianca
    (rivista Cultura Identità)

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

spot_img

Most Popular

Recent Comments

Iskander on Storia beffarda
Arjuna on Storia beffarda
Oggeri il Danese on DA TERZA ROMA A SECONDA PECHINO
Claudio Cantelmo on BOSCO MARTESE E DINTORNI …
davidedemario on L’antagonismo di Teheran